Nessun linguaggio può esprimere il potere, la bellezza, l’eroismo e la maestosità dell’amore materno.
(Edwin Hubbell Chapin)
La Nostra cara Mamma, nacque a Napoli il 30 marzo del 1925 da una famiglia di umili origini nel quartiere Salvator Rosa. Aveva 10 fratelli e aiutava mamma Sofia a cucinare per i suoi fratelli alcuni dei quali impegnati nell’impresa di famiglia, la “ Trattoria donna Sofia” a piazza Mazzini. Iniziò da subito a casa a miscelare ingredienti e aizzare il fuoco nella cucina a carbone. Per diventare brava e prendere le redini della Trattoria come cuoca Fu’ così che imparò l’arte della cucina. Mammà ha contribuito a sfamare i suoi fratelli e il papà ferroviere fino a quel fatidico giorno di primavera che segnò la sua vita. Verso la fine della seconda guerra mondiale, un aereo sganciò degli ordigni in un parco di Napoli, uno di questi colpì la trattoria. Fu’ un tragico giorno. Mammà perse 5 dei suoi fratelli e sua mamma Sofia. Da quel giorno la dolce e spensierata Carmela dovette fare da mamma ai suoi quattro fratelli più piccoli e prendersi cura del padre. Le lezione ricevute da sua mamma gli tornano utili e inizia così a sfornare teglie di parmigiane, peperoni fritti, minestre e pasta asciutte. Fu’ però l’incontro con il futuro marito a farla entrare nel mondo della ristorazione. Era un piovoso giorno di dicembre del 1950, quando incontrò Mario, meccanico e pugile durante la guerra, con un grande sogno. Aprire una pizzeria, di quelle buone. Apre così la “pizzeria bella figliola”, al Vomero, e subito mamma Carmela inizia a sfornare pizze e contorni come da tradizione, seguendo fedelmente i consigli appresi nell’adolescenza dalla maestra Sofia, uno su tutti era quello del rispetto degli ingredienti e fino all’ultimo mammà ce lo ha sempre ripetuto: Puoi avere la miglior melenzana, il peperone piu’ dolce, la carne piu’ tenera, il miglior impasto, ma se hai fretta e li maltratti , non verranno mai saporiti: perche’ non li hai fatti con il cuore!
“ puo’ tener a meglia mulignana,o chiù doce puparuole, ‘a carna chiù tenera, ‘o mbast chiù buon, e ca press é maltratt nun venene mai sapurit: Pecchè nun le fatt co coor! “ |